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Nella mia pratica artistica sono interessata a un confronto diretto con le persone e i luoghi del quotidiano, senza alcun filtro o protezione da parte delle istituzioni o dei contesti artistici o accademici che accolgono i miei progetti. Negli anni il mio lavoro si è nutrito e modellato grazie a scambi continui con le persone che vi hanno contribuito, accorciando le distanze tra processo e opera, partecipazione e fruizione.
_ Ilaria Turba
La residenza e il lavoro di Ilaria Turba sono stati commissionati da MAD Murate Art District nell’ambito del Progetto MADxCOMMONS, con il contributo di Fondazione CR Firenze e il sostegno di Regione Toscana – ToscanaIncontemporanea, in collaborazione con Dipartimento SAGAS dell’Università degli Studi di Firenze. L’opera dell’artista ha visto la presentazione al pubblico nel progetto espositivo tenuto al MAD dal 4 novembre 2022 al 14 gennaio 2023 a cura di Giorgio Bacci, professore di Storia dell’arte contempora
Nella mia pratica artistica sono interessata a un confronto diretto con le persone e i luoghi del quotidiano, senza alcun filtro o protezione da parte delle istituzioni o dei contesti artistici o accademici che accolgono i miei progetti. Negli anni il mio lavoro si è nutrito e modellato grazie a scambi continui con le persone che vi hanno contribuito, accorciando le distanze tra processo e opera, partecipazione e fruizione.
_ Ilaria Turba
La residenza e il lavoro di Ilaria Turba sono stati commissionati da MAD Murate Art District nell’ambito del Progetto MADxCOMMONS, con il contributo di Fondazione CR Firenze e il sostegno di Regione Toscana – ToscanaIncontemporanea, in collaborazione con Dipartimento SAGAS dell’Università degli Studi di Firenze. L’opera dell’artista ha visto la presentazione al pubblico nel progetto espositivo tenuto al MAD dal 4 novembre 2022 al 14 gennaio 2023 a cura di Giorgio Bacci, professore di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Firenze, e della sottoscritta. Le simmetrie dei desideri è una mappatura sul territorio e ha coinvolto direttamente i cittadini che abitano il quartiere di Sant’Ambrogio e il complesso delle Murate. Partendo dall’esperienza quadriennale vissuta durante la residenza d’artista nei quartieri Nord di Marsiglia, dove aveva coinvolto i cittadini nella pratica della panificazione, rituale antico che accomuna tutte le culture mediterranee, nella residenza fiorentina Ilaria Turba ha invitato la cittadinanza a condividere oggetti personali e d’affezione che fossero forti veicoli di desideri, storie e immaginari. In questa dialettica con gli abitanti delle Murate e del quartiere di Sant’Ambrogio, i pani marsigliesi sono dunque serviti da attivatori di un nuovo percorso partecipativo continuando così il lungo processo di rigenerazione e riqualificazione di questo straordinario complesso monumentale e di tutta la zona intorno al mercato.
_ Valentina Gensini
Le simmetrie dei desideri non è soltanto una mostra, ma un complesso progetto di ricerca artistica con una spiccata radice antropologica e socio-politica. Il primo e fondamentale passaggio è costituito dal lavoro sul campo, propedeutico alle fasi successive, che prevedono la presentazione e riattivazione di oggetti tanto umili quanto ricchi di memoria, la rimappatura di percorsi psicogeografici cittadini, per giungere alla realizzazione di articolate installazioni multimediali. Un dispositivo artistico che pone in questione l’idea e i compiti di un museo di arte contemporanea, anche se nel caso di MAD (Murate Art District, a Firenze, sede dell’esposizione) non si tratta di un museo ma di «un distretto culturale, uno spazio di creazione e residenza dedicato ai linguaggi artistici contemporanei in un approccio transdisciplinare, aperto ad artisti di ogni età e provenienza». Un luogo ibrido, ricco di memorie, che nella struttura porta impressi i segni del passato: dapprima convento e poi carcere cittadino che negli anni del regime fascista ha visto reclusi anche oppositori politici antifascisti. Non si tratta dunque di uno spazio neutro, ma fortemente connotato, che nei segni dei carcerati incisi sui muri, nelle pesanti porte in legno con un piccolo spioncino, o negli alti ballatoi, custodisce una complessa memoria storica che parla agli artisti contemporanei.
_ Giorgio Bacci
Ilaria Turba è un’artista visiva. Utilizza come media privilegiati la fotografia, il video e l’animazione per la creazione di opere, installazioni, progetti territoriali, site specific e progetti di comunicazione. I suoi lavori sono il risultato di un percorso personale che intreccia sperimentazione visiva con altre discipline: scienze sociali, arti performative e storia orale, spesso in collaborazione con altri artisti, artigiani e professionisti. Le tematiche principali del suo percorso sono: identità e immaginari collettivi, rapporto tra presente e memoria attraverso oggetti, fotografie, storie e luoghi.
http://www.postmediabooks.it/2023/358ilariaturba/9788874903580.htm
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Con saggi di: Veronica Caciolli, Giulia Dionisio, Fabio Di Vincenzo, Valentina Gensini e Aryan Ozmaei
Il primo lavoro della serie Terzo Spazio è proprio la mia reazione iniziale allo spirito tassonomico occidentale: trattare gli oggetti in modo tale da provocare una prima dolce forma di ribellione a questo ordine. Il delicato disordine che dà forma al primo dipinto è stato il primo passo di un lavoro di ricerca artistica che, appena terminato, mi sono resa conto aver bisogno di tempo e di studio. Dovevo entrare in una relazione più profonda con gli oggetti, dovevo evitare di cadere nell’errore di guardarli a mia volta come “cose”, dovevo piuttosto riuscire a entrare in relazione con le presenze umane che stavano dentro, dietro, intorno a ciascuno di essi.
_ Aryan Ozmaei
La mostra Terzo Spazio di Aryan Ozmaei, sviluppata a partire dal lavoro A Day at the Anthropological Museum of Florence, si articola tra MAD Murate Art District (che ha già dedicato numerosi progetti al Postcolonial e alla De-colonizzazione) e il Museo di Antropologia e Etnologia, ispirator
Il primo lavoro della serie Terzo Spazio è proprio la mia reazione iniziale allo spirito tassonomico occidentale: trattare gli oggetti in modo tale da provocare una prima dolce forma di ribellione a questo ordine. Il delicato disordine che dà forma al primo dipinto è stato il primo passo di un lavoro di ricerca artistica che, appena terminato, mi sono resa conto aver bisogno di tempo e di studio. Dovevo entrare in una relazione più profonda con gli oggetti, dovevo evitare di cadere nell’errore di guardarli a mia volta come “cose”, dovevo piuttosto riuscire a entrare in relazione con le presenze umane che stavano dentro, dietro, intorno a ciascuno di essi.
_ Aryan Ozmaei
La mostra Terzo Spazio di Aryan Ozmaei, sviluppata a partire dal lavoro A Day at the Anthropological Museum of Florence, si articola tra MAD Murate Art District (che ha già dedicato numerosi progetti al Postcolonial e alla De-colonizzazione) e il Museo di Antropologia e Etnologia, ispiratore di questa prima opera nel 2019. L’attitudine archeologica della pittura di Aryan Ozmaei l’ha condotta ad imbattersi nelle collezioni del Museo, il primo del suo genere, istituito nel 1869 da Paolo Mantegazza. Il suo allestimento rimasto pressoché invariato dalla seconda metà dell’Ottocento, ha stimolato una serie di riflessioni nell’artista, per altro caratterizzanti l’arte contemporanea: i rapporti interdisciplinari tra arte e antropologia, la storia coloniale, lo sguardo etnocentrico, le categorie tassonomiche espositive ottocentesche, la modernità e la sua crisi, la necessità di riscrittura, i processi di ibridazione e di de-colonialismo. Per Terzo Spazio l’artista ha realizzato venti dipinti collection-specific, promuovendo eterotopie, zone di contatto e identità fluide. Il titolo della mostra prende ispirazione dalla teoria dell’antropologo Homi K. Bhabha che nel suo celebre The Location of Culture propone la progressiva costituzione di “spazi terzi”, ovvero luoghi di ibridazione tra culture che Aryan Ozmaei avanza nei suoi collages pittorici: statue e sculture frammentate o decontestualizzate vengono ricostruite dall’artista anche simbolicamente, superando la rigida ordinazione etnografica tradizionale.
In questa nuova serie che costituisce la mostra Terzo Spazio, non siamo però di fronte ad archetipi, ma indubbiamente, al cospetto di una memoria collettiva rielaborata individualmente, che propone sinteticamente la rilettura del passato nel presente, a futura memoria. Trovarsi di fronte a una vetrina di un museo antropologico allestita nell’Ottocento è come essere investiti da secoli di storia in corsa. È qui che la pittura assume il suo ruolo discriminante e non casuale: per la sua capacità di connettere su uno stesso piano tempi, oggetti e spazi distanti tra loro. La storia dei rapporti tra l’Occidente e il resto del mondo, le relazioni spesso asimmetriche tra visualità, le negoziazioni tra conscio e inconscio, privato e pubblico, passato e presente, lo sfondo politico e umano, il ruolo del museo, il contesto letterario e culturale, e la loro fenomenologia, mi sono istantaneamente apparsi quando ho visto per la prima volta il lavoro del 2019.
_ Veronica Caciolli
Aryan Ozmaei è nata a Teheran (Iran) nel 1976, dove ha vissuto fino al 2002 prima di trasferirsi a Firenze dove attualmente vive e lavora. Ha frequentato la Azad Art and Architecture University, laureandosi in pittura. Ha successivamente frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze, ottenendo la Laurea in Pittura e poi la specializzazione in Arti visive e linguaggi multimediali. La sua attività recente ha compreso la mostra personale “A studio abroad” presso SRISA Project Space a Firenze e la mostra personale “Grounds” presso la Fondazione Malvina Menegaz di Castelbasso (TE), entrambe curate da Pietro Gaglianò.
Il progetto della mostra unisce tre depositi costantemente tenuti insieme da un unico filo conduttore che è quello legato all’ibridazione delle materie e alla non istantanea riconoscibilità degli oggetti usati, oltre ad essere un intervento pensato appositamente per lo spazio architettonico di MAD. Il titolo della mostra è Standby, l’ho scelto appositamente per questi oggetti che sembravano in attesa di diventare altro…
_ Chiara Bettazzi
L’intervento installativo di Chiara Bettazzi vede protagonisti gli strumenti scientifici conservati nei depositi del Museo Galileo (tra gli oggetti selezionati un caleidoscopio, un binocolo da teatro con custodia, uno specchio concavo metallico, un visore per microscopio) e i reperti lapidei e materiali del deposito del complesso delle Murate, insieme alle relative schede inventariali, testimonianze fotografiche e documentali. Attraverso ricomposizioni visive questi elementi – fuori contesto rispetto ai loro luoghi di co
Il progetto della mostra unisce tre depositi costantemente tenuti insieme da un unico filo conduttore che è quello legato all’ibridazione delle materie e alla non istantanea riconoscibilità degli oggetti usati, oltre ad essere un intervento pensato appositamente per lo spazio architettonico di MAD. Il titolo della mostra è Standby, l’ho scelto appositamente per questi oggetti che sembravano in attesa di diventare altro…
_ Chiara Bettazzi
L’intervento installativo di Chiara Bettazzi vede protagonisti gli strumenti scientifici conservati nei depositi del Museo Galileo (tra gli oggetti selezionati un caleidoscopio, un binocolo da teatro con custodia, uno specchio concavo metallico, un visore per microscopio) e i reperti lapidei e materiali del deposito del complesso delle Murate, insieme alle relative schede inventariali, testimonianze fotografiche e documentali. Attraverso ricomposizioni visive questi elementi – fuori contesto rispetto ai loro luoghi di conservazione – diventano oggetto e suggestione per l’opera dell’artista: si apre così un dialogo articolato su differenti livelli di memoria, tra l’immaginario artistico di Chiara Bettazzi e lo spirito che anima la conservazione istituzionale degli oggetti storici e scientifici. Risemantizzati in una nuova geografia della visione. Curata da Letizia Bocci e Valentina Gensini, la mostra mette in evidenza l’urgenza intimamente legata alla necessità dell’artista di riappropriarsi di una memoria individuale e collettiva, affinché essa non venga dispersa. Il visitatore è invitato così a risalire alle prime tracce di un vissuto e di un pensiero: quello legato alla pratica dell’artista e quello delle due realtà fiorentine. Il risultato è un lavoro di riflessione sulla stratificazione del tempo e della memoria.
Con saggi di: Letizia Bocci, Alessandra Acocella, Caterina Toschi, Silvia Bruni, Valentina Gensini e Margherita Scheggi.
L’esposizione si presenta all’occhio come un lavoro scultoreo, che oltre ad essere espressione di un processo in divenire, è una stratificazione di studio e documentazione su entrambi i depositi, insieme a lavori passati dell’artista, in particolare gli studi sulla visione e sulla fotografia, che trovano completamento e senso in questa nuova dimensione. Chiara Bettazzi ha così, progressivamente, posto l’attenzione sul concetto di ambiente, su qualcosa che andava costruendosi in termini di relazione, sia durante il lavoro nei depositi, sia all’interno della mostra, chiedendo a chi osserva di affinare lo sguardo, affinché ciò che sembra una sola moltitudine possa rivelarsi nelle proprie infinite variazioni, all’interno di un’unica “visione d’insieme”, come suggerisce il sottotitolo della mostra, sebbene suddivisa in più nuclei focali.
_ Letizia Bocci
Il lavoro di Chiara Bettazzi può dunque essere letto da una prospettiva storico-artistica in senso lineare, attraverso una ricognizione puntuale della cronologia delle diverse fasi della sua ricerca – restituita nel presente volume da Alessandra Acocella –, oppure ponendolo comparativamente nel crogiuolo delle pratiche tassonomiche contemporanee, in cui il formato della collezione è integrato nella prassi artistica ed espositiva per indagare l’ambivalenza diacronica e anacronica delle memorie racchiuse negli oggetti raccolti; la complessità di questo secondo metodo di indagine è oggetto di numerosi studi monografici, di cui la presente indagine è debitrice pur focalizzandosi solo su pochi aspetti della questione.
_ Caterina Toschi
Chiara Bettazzi (Prato, 1977) è artista e fondatrice dello spazio ex-industriale di Via Genova. Da anni indaga i linguaggi contemporanei all’interno del paesaggio industriale del territorio attraverso il progetto TAI – Tuscan Art Industry. Da sempre interessata a innescare processi di sensibilizzazione e riappropriazione di spazi in abbandono si dedica alla sua ricerca artistica che indaga una duplice dimensione, da un lato lo spazio industriale e i luoghi silenziosi dall’altro una poetica dell’oggetto quotidiano che si sviluppa tra accumulo e scarto. Un processo creativo che riflette sulla memoria, sul tempo, e sul tentativo di coniugare materie organiche e inorganiche. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private.
Murate Art District non è un semplice spazio espositivo ma un cantiere di produzione: tramite una selezione basata sul progetto artistico e sul curriculum vitae, artisti nazionali ed internazionali possono svolgere periodi di ricerca dedicati a progetti specifici, condividendo così il loro lavoro con la cittadinanza attraverso installazioni site specific, workshop ed esposizioni.
Docente di Storia dell’arte contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, è autore di numerosi saggi sull’arte contemporanea. Suoi titoli più recenti sono: Incipit. La folgorazione delle prime righe e Scultura e Spazio urbano (con Cristian Biasci), editi entrambi per Smith editore (Firenze) nel 2021, Vox populi. Dei rischi e dei rilanci dell’arte oggi, Pisa University Press, 2023, e Arte Oggi, anch’esso per Pisa University Press, 2023.
Docente di Storia dell’arte contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, è autore di numerosi saggi sull’arte contemporanea. Suoi titoli più recenti sono: Incipit. La folgorazione delle prime righe e Scultura e Spazio urbano (con Cristian Biasci), editi entrambi per Smith editore (Firenze) nel 2021, Vox populi. Dei rischi e dei rilanci dell’arte oggi, Pisa University Press, 2023, e Arte Oggi, anch’esso per Pisa University Press, 2023.
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Direttore Artistico MAD Murate Art District
Valentina Gensini è storica dell’arte e curatrice. Dopo il lavoro in sovrintendenza presso Palazzo Pitti, e le collaborazioni con la Scuola di specializzazione in storia dell’arte dell’università di Siena, ha lavorato come consulente per la Fondazione Palazzo Strozzi, dove ha co-curato Green Platform. Arte Ecologia Sostenibilità (CCCStrozzina, 2009). Ha co-curato il progetto espositivo e il catalogo Novecento Sedotto. il fascino del seicento tra le due guerre (villa Bardini 2010). Ha diretto la sezione Arti Visive del Festival Fabbrica Europa (2012). Per Mus.e, è Responsabile dell’area contemporaneo, ha fondato e diretto il Museo Novecento (2014-2017) e Le Murate. Progetti Arte Contemporanea (2014-2019), che attualmente dirige con il nuovo progetto MAD Murate Art District. È fondatrice e direttore artistico del Progetto RIVA, un progetto pluriennale di arte pubblica internazionale sul tema della progettazione ecosostenibile ed ecosofica. E’ autrice di saggi,
Valentina Gensini è storica dell’arte e curatrice. Dopo il lavoro in sovrintendenza presso Palazzo Pitti, e le collaborazioni con la Scuola di specializzazione in storia dell’arte dell’università di Siena, ha lavorato come consulente per la Fondazione Palazzo Strozzi, dove ha co-curato Green Platform. Arte Ecologia Sostenibilità (CCCStrozzina, 2009). Ha co-curato il progetto espositivo e il catalogo Novecento Sedotto. il fascino del seicento tra le due guerre (villa Bardini 2010). Ha diretto la sezione Arti Visive del Festival Fabbrica Europa (2012). Per Mus.e, è Responsabile dell’area contemporaneo, ha fondato e diretto il Museo Novecento (2014-2017) e Le Murate. Progetti Arte Contemporanea (2014-2019), che attualmente dirige con il nuovo progetto MAD Murate Art District. È fondatrice e direttore artistico del Progetto RIVA, un progetto pluriennale di arte pubblica internazionale sul tema della progettazione ecosostenibile ed ecosofica. E’ autrice di saggi, cataloghi e volumi tra cui Video d’artista. La video-arte dalle origini a oggi, Polistampa 2011; Nuclei vitali, Pacini Editore 2015, Global Identities. postcolonial and cross-cultural narratives, Mousse, 2019; Musei, pubblici, tecnologie, Pisa University Press, 2020; Il Novecento: dalle collezioni civiche al museo, Skirà 2021; Firenze Novecento, Skirà 2022.
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Questione di Accessibilità, Valentina Gensini
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Testi di: Patrizia Asproni, Lucia Cataldo, Maria Vittoria Marini Clarelli, Alberto Del Bimbo, Irene Di Ruscio, Perla Gianni Falvo, Vincenza Ferrara, Alessandra Ferrini, Manuela Fusi, Valentina Gensini, Antonella Guidazzoli, Anna Maria Marras, Paolo Mazzanti, Elena Mazzi, Sarah Dominique Orlandi, Robert Pettena, Cesare Pietroiusti, Alfredo Pirri, Antonia Silvaggi, Anna Soffici, Maria Rosa Sossai, Francesca Velani, Valentina Zucchi
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A cura di Valentina Gensini
Con testi di: Patrizia Asproni, Lucia Cataldo, Maria Vittoria Marini Clarelli, Alberto Del Bimbo, Irene Di Ruscio, Perla Gianni Falvo, Vincenza Ferrara, Alessandra Ferrini, Manuela Fusi, Valentina Gensini, Antonella Guidazzoli, Anna Maria Marras, Paolo Mazzanti, Elena Mazzi, Sarah Dominique Orlandi, Robert Pettena, Cesare Pietroiusti, Alfredo Pirri, Antonia Silvaggi, Anna Soffici, Maria Rosa Sossai, Francesca Velani, Valentina Zucchi
Il tema della centralità del pubblico e del suo coinvolgimento nella fruizione e interpretazione del museo ha finalmente stimolato generazioni di studiosi a rileggere questo dispositivo anche alla luce di nuove sensibilità cognitive; il focus su Audience Development e Public Engagement ha indirizzato il confronto in modo esclusivo, tanto da rappresentare un mantra a cui hanno atteso i più vivaci tecnici ed esperti, talvolta spintisi a considerare il pubblico come consumatore.
Nel trinomio Musei Pubblici Tecnologie il tema che emerge con grande fo
Con testi di: Patrizia Asproni, Lucia Cataldo, Maria Vittoria Marini Clarelli, Alberto Del Bimbo, Irene Di Ruscio, Perla Gianni Falvo, Vincenza Ferrara, Alessandra Ferrini, Manuela Fusi, Valentina Gensini, Antonella Guidazzoli, Anna Maria Marras, Paolo Mazzanti, Elena Mazzi, Sarah Dominique Orlandi, Robert Pettena, Cesare Pietroiusti, Alfredo Pirri, Antonia Silvaggi, Anna Soffici, Maria Rosa Sossai, Francesca Velani, Valentina Zucchi
Il tema della centralità del pubblico e del suo coinvolgimento nella fruizione e interpretazione del museo ha finalmente stimolato generazioni di studiosi a rileggere questo dispositivo anche alla luce di nuove sensibilità cognitive; il focus su Audience Development e Public Engagement ha indirizzato il confronto in modo esclusivo, tanto da rappresentare un mantra a cui hanno atteso i più vivaci tecnici ed esperti, talvolta spintisi a considerare il pubblico come consumatore.
Nel trinomio Musei Pubblici Tecnologie il tema che emerge con grande forza e attualità è quello dell’Accessibilità: accesso al Patrimonio, da preservare e valorizzare in una logica inclusiva, che lo renda fruibile fisicamente, intellettivamente e socialmente; accoglienza nel segno di una cultura che rivendichi il diritto di chiunque a godere l’arte e i suoi significati profondi; coinvolgimento del pubblico al fine di stimolare i visitatori come protagonisti di un’esperienza estetica vibrante nonché straordinaria occasione di formazione ad una cittadinanza consapevole. In prima linea accanto al pubblico ci sono curatori, storici dell’arte, addetti alla comunicazione e alla mediazione, architetti e designer, ma anche gli artisti, capaci
di una singolare abilità nella mediazione del Patrimonio.
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di Antonio Capestro e Leonardo Zaffi
Presentato il 23 ottobre 2018 presso MAD Murate Art District, il libro documenta, attraverso il racconto di alcune esperienze sui temi dell’allestimento, dell’installazione, dell’esposizione condotte in collaborazione dai due autori, un’attività di ricerca e di formazione più ampia sul progetto delle piccole architetture effimere e temporanee. Il tema comune di riferimento per tutte queste esperienze è la valorizzazione dei contenuti scientifici e culturali che trovano la loro espressione attraverso eventi, convegni, mostre d’arte e architettura, installazioni. Il volume offre due possibili spunti di riflessione sul tema delle relazioni che s’instaurano fra spazi effimeri e contesti storici attraverso il progetto per prefigurare un ulteriore layer di senso sullo sfondo durevole di architettura e città e individuare una specifica dimensione più costruttiva del temporaneo dove i percorsi ideativi si connettono strettamente agli aspetti apparentemente più tecnici legati
Presentato il 23 ottobre 2018 presso MAD Murate Art District, il libro documenta, attraverso il racconto di alcune esperienze sui temi dell’allestimento, dell’installazione, dell’esposizione condotte in collaborazione dai due autori, un’attività di ricerca e di formazione più ampia sul progetto delle piccole architetture effimere e temporanee. Il tema comune di riferimento per tutte queste esperienze è la valorizzazione dei contenuti scientifici e culturali che trovano la loro espressione attraverso eventi, convegni, mostre d’arte e architettura, installazioni. Il volume offre due possibili spunti di riflessione sul tema delle relazioni che s’instaurano fra spazi effimeri e contesti storici attraverso il progetto per prefigurare un ulteriore layer di senso sullo sfondo durevole di architettura e città e individuare una specifica dimensione più costruttiva del temporaneo dove i percorsi ideativi si connettono strettamente agli aspetti apparentemente più tecnici legati alla realizzazione. Sono documentati cinque progetti che si legano al tema del patrimonio storico e culturale: quattro a Firenze nel Centro storico tutelato dall’Unesco e uno nel Palazzo Podestarile di Montelupo fiorentino. I progetti rappresentano esempi applicativi di un percorso di ricerca strettamente collegato alle attività didattiche del Laboratorio di Architettura e Autocostruzione del Dipartimento di Architettura di Firenze del quale gli stessi autori sono stati fondatori e sono attuali responsabili.
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Con testi di Veronica Caciolli, Jasper Chalcraft, Nick Dines, Livia Dubon Bohlig, Daria Filardo, Valentina Gensini, Matteo Innocenti, Jeremie Molho, Monica Sassatelli, Justin Randolph Thompson and Janine Gaelle Djeudi, Anna Triandafyllidou.
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A cura di Valentina Gensini
“Sala scura. Lo scheletro di una barca sta, sospeso. Una cascata di fibre luminose scivola giù e i fili si articolano a terra, come tentacoli di una medusa immobile, fuori dal tempo.”
Tra i protagonisti del panorama artistico internazionale, Adrian Paci indaga la condizione umana con una raffinata sintesi formale e una schiettezza priva di retorica.
All’interno delle sue opere l’esperienza della migrazione, vissuta in prima persona, viene elevata a riflessione universale sull’indefinitezza dell’essere umano e sulla complessità delle dinamiche sociali, politiche e culturali proprie della contemporaneità. Il progetto Di queste luci si servirà la notte sottolinea la capacità di narrare il nostro tempo e di raccontare la condizione di continuo transito dell’uomo, assimilata al flusso incessante dell’acqua e al suo potere catartico
“Sala scura. Lo scheletro di una barca sta, sospeso. Una cascata di fibre luminose scivola giù e i fili si articolano a terra, come tentacoli di una medusa immobile, fuori dal tempo.”
Tra i protagonisti del panorama artistico internazionale, Adrian Paci indaga la condizione umana con una raffinata sintesi formale e una schiettezza priva di retorica.
All’interno delle sue opere l’esperienza della migrazione, vissuta in prima persona, viene elevata a riflessione universale sull’indefinitezza dell’essere umano e sulla complessità delle dinamiche sociali, politiche e culturali proprie della contemporaneità. Il progetto Di queste luci si servirà la notte sottolinea la capacità di narrare il nostro tempo e di raccontare la condizione di continuo transito dell’uomo, assimilata al flusso incessante dell’acqua e al suo potere catartico
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patrimoni inattesi
riusare per valorizzare ex-carceri: pratiche e progetti per un patrimonio difficile
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A cura di Valentina Gensini
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