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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

Black History Month Florence 2020

Questo progetto espositivo ha esaminato l’adempimento degli obblighi sociali nei confronti del lavoro sporco, le carenze di confronto culturale, l’annientamento della storia e le politiche di rispettabilità.
Gli artisti in mostra hanno attinto ciascuno da esperienze di permanenza in Italia che li spinge a coinvolgere le città di Roma, Umbertide, Milano e Firenze come siti di produzione culturale con la necessità di impegnare la storia senza esserne vittime.

L’attivista Pape Diaw, in un’intervista del 2013, ha parlato di “… sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito”. Questa contraddizione in termini è posta in un contesto sociale in cui il lavoro sporco sussiste per mantenere uno status governato da politiche di rispettabilità e di controllo sociale. Un’insistenza sulle narrazioni personali come una sostituzione delle appiattite proiezioni di Blackness, la costruzione di ponti tra un passato coloniale e una realtà neocoloniale contemporanea e l’inconsistenza de


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Questo progetto espositivo ha esaminato l’adempimento degli obblighi sociali nei confronti del lavoro sporco, le carenze di confronto culturale, l’annientamento della storia e le politiche di rispettabilità.
Gli artisti in mostra hanno attinto ciascuno da esperienze di permanenza in Italia che li spinge a coinvolgere le città di Roma, Umbertide, Milano e Firenze come siti di produzione culturale con la necessità di impegnare la storia senza esserne vittime.

L’attivista Pape Diaw, in un’intervista del 2013, ha parlato di “… sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito”. Questa contraddizione in termini è posta in un contesto sociale in cui il lavoro sporco sussiste per mantenere uno status governato da politiche di rispettabilità e di controllo sociale. Un’insistenza sulle narrazioni personali come una sostituzione delle appiattite proiezioni di Blackness, la costruzione di ponti tra un passato coloniale e una realtà neocoloniale contemporanea e l’inconsistenza della monumentalità permeano tutte queste opere con una meditazione sul passato come indicatore di ciò che è in arrivo.

La mostra, a cura di Black History Month Florence, nell’ambito della V edizione del BHMF, in collaborazione con Villa Romana (Florence), Civitella Ranieri Foundation (Umbertide) e Galleria Continua (San Gimignano), presenta il lavoro di 6 artisti internazionali che hanno utilizzato il contesto italiano come luogo di produzione artistica. Una serie di opere trasversali spinge a una rielaborazione di nozioni stereotipate del made in Italy che tendono a escludere gli afro-discendenti, svelando attitudini coloniali e invitando e rompere preconcetti.

Protagoniste le ricerche degli artisti M’Barek Bouhchichi (Morocco), Adji Dieye (Italy/Senegal), Sasha Huber (Switzerland/Finland), Delio Jasse (Angola/Italy), Amelia Umuhire (Rwanda/Germany), Nari Ward (Jamaica/USA).

Insieme hanno formato una melodia armonica che è discordante con la narrativa prescritta, centralizzata e consumata ma trova allineamento per trasmettere il suo potere e la capacità di arricchire la melodia secolare.

Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

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Sasha Huber

Fotografa, video artista, performer

Sasha Huber è un’artista visiva svizzero-haitiana, nata a Zurigo, Svizzera nel 1975. Vive e lavora a Helsinki, in Finlandia. Il lavoro di Huber si occupa principalmente della politica della memoria e dell’appartenenza, in particolare in relazione ai residui coloniali abbandonati nell’ambiente. Sensibile ai fili sottili che collegano il passato e il presente, utilizza il materiale d’archivio all’interno di una pratica creativa stratificata che comprende interventi basati sulla performance, video, fotografia e collaborazioni. Huber rivendica anche l’uso della pistola ad aria compressa, consapevole del suo significato simbolico come arma, ma che offre al contempo il potenziale per rinegoziare dinamiche dove il potere non è bilanciato. È nota per il suo contributo di ricerca artistica alla campagna Demounting Louis Agassiz, che mira a smantellare l’eredità razzista meno conosciuta ma controversa del glaciologo. Questo progetto a lungo termine (dal

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Sasha Huber è un’artista visiva svizzero-haitiana, nata a Zurigo, Svizzera nel 1975. Vive e lavora a Helsinki, in Finlandia. Il lavoro di Huber si occupa principalmente della politica della memoria e dell’appartenenza, in particolare in relazione ai residui coloniali abbandonati nell’ambiente. Sensibile ai fili sottili che collegano il passato e il presente, utilizza il materiale d’archivio all’interno di una pratica creativa stratificata che comprende interventi basati sulla performance, video, fotografia e collaborazioni. Huber rivendica anche l’uso della pistola ad aria compressa, consapevole del suo significato simbolico come arma, ma che offre al contempo il potenziale per rinegoziare dinamiche dove il potere non è bilanciato. È nota per il suo contributo di ricerca artistica alla campagna Demounting Louis Agassiz, che mira a smantellare l’eredità razzista meno conosciuta ma controversa del glaciologo. Questo progetto a lungo termine (dal 2008) si è occupato di portare alla luce e riparare la storia poco conosciuta e le eredità culturali del naturalista e glaciologo svizzero Louis Agassiz (1807-1873), un influente sostenitore del razzismo “scientifico” che sosteneva la segregazione e l’ “igiene razziale”. Huber ha tenuto mostre personali alla Fondazione Hasselblad (Project Room) a Göteborg e ha partecipato a numerose mostre internazionali, tra cui la 56a Biennale di Venezia nel 2015 (mostra collaterale: Frontier Reimagined), la 19a Biennale di Sydney nel 2014 e alla 29a Biennale di San Paolo nel 2010.

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Sasha Huber

The Firsts-Edmonia Lewis - Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

Sasha Huber

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