Il primo lavoro della serie Terzo Spazio è proprio la mia reazione iniziale allo spirito tassonomico occidentale: trattare gli oggetti in modo tale da provocare una prima dolce forma di ribellione a questo ordine. Il delicato disordine che dà forma al primo dipinto è stato il primo passo di un lavoro di ricerca artistica che, appena terminato, mi sono resa conto aver bisogno di tempo e di studio. Dovevo entrare in una relazione più profonda con gli oggetti, dovevo evitare di cadere nell’errore di guardarli a mia volta come “cose”, dovevo piuttosto riuscire a entrare in relazione con le presenze umane che stavano dentro, dietro, intorno a ciascuno di essi.
_ Aryan Ozmaei
La mostra Terzo Spazio di Aryan Ozmaei, sviluppata a partire dal lavoro A Day at the Anthropological Museum of Florence, si articola tra MAD Murate Art District (che ha già dedicato numerosi progetti al Postcolonial e alla De-colonizzazione) e il Museo di Antropologia e Etnologia, ispiratore di questa prima opera nel 2019. L’attitudine archeologica della pittura di Aryan Ozmaei l’ha condotta ad imbattersi nelle collezioni del Museo, il primo del suo genere, istituito nel 1869 da Paolo Mantegazza. Il suo allestimento rimasto pressoché invariato dalla seconda metà dell’Ottocento, ha stimolato una serie di riflessioni nell’artista, per altro caratterizzanti l’arte contemporanea: i rapporti interdisciplinari tra arte e antropologia, la storia coloniale, lo sguardo etnocentrico, le categorie tassonomiche espositive ottocentesche, la modernità e la sua crisi, la necessità di riscrittura, i processi di ibridazione e di de-colonialismo. Per Terzo Spazio l’artista ha realizzato venti dipinti collection-specific, promuovendo eterotopie, zone di contatto e identità fluide. Il titolo della mostra prende ispirazione dalla teoria dell’antropologo Homi K. Bhabha che nel suo celebre The Location of Culture propone la progressiva costituzione di “spazi terzi”, ovvero luoghi di ibridazione tra culture che Aryan Ozmaei avanza nei suoi collages pittorici: statue e sculture frammentate o decontestualizzate vengono ricostruite dall’artista anche simbolicamente, superando la rigida ordinazione etnografica tradizionale.
In questa nuova serie che costituisce la mostra Terzo Spazio, non siamo però di fronte ad archetipi, ma indubbiamente, al cospetto di una memoria collettiva rielaborata individualmente, che propone sinteticamente la rilettura del passato nel presente, a futura memoria. Trovarsi di fronte a una vetrina di un museo antropologico allestita nell’Ottocento è come essere investiti da secoli di storia in corsa. È qui che la pittura assume il suo ruolo discriminante e non casuale: per la sua capacità di connettere su uno stesso piano tempi, oggetti e spazi distanti tra loro. La storia dei rapporti tra l’Occidente e il resto del mondo, le relazioni spesso asimmetriche tra visualità, le negoziazioni tra conscio e inconscio, privato e pubblico, passato e presente, lo sfondo politico e umano, il ruolo del museo, il contesto letterario e culturale, e la loro fenomenologia, mi sono istantaneamente apparsi quando ho visto per la prima volta il lavoro del 2019.
_ Veronica Caciolli
Aryan Ozmaei è nata a Teheran (Iran) nel 1976, dove ha vissuto fino al 2002 prima di trasferirsi a Firenze dove attualmente vive e lavora. Ha frequentato la Azad Art and Architecture University, laureandosi in pittura. Ha successivamente frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze, ottenendo la Laurea in Pittura e poi la specializzazione in Arti visive e linguaggi multimediali. La sua attività recente ha compreso la mostra personale “A studio abroad” presso SRISA Project Space a Firenze e la mostra personale “Grounds” presso la Fondazione Malvina Menegaz di Castelbasso (TE), entrambe curate da Pietro Gaglianò.