“Ho svolto la mia tesi del Biennio specialistico all’Accademia di Belle Arti di Firenze sul rapporto tra arte contemporanea iraniana e lo “sguardo dell’Occidente” che ancora è presente e attivo. Cioè, mi sembrava interessante mettere in una luce critica alcuni sguardi ancora legati a una visione etnocentrica e colonialistica sull’altro. Mi spiego: è bene che questo interesse e questa attenzione nei paesi occidentali ci siano, su questo non ho dubbi, ma è anche divertente vedere come molto spesso lo sguardo di chi guarda a oriente non riesce a essere abbastanza neutro, come se fosse sempre in qualche modo influenzato da un certo gusto per l’esotico. Ho i materiali pronti, li ho raccolti in visite a diversi musei che ho fatto apposta per questo progetto. I lavori saranno tentativi di mettere questi oggetti “categorizzati” in una composizione caotica che creerà un nuovo ordine, diverso dai criteri museali, divertendomi con la pittura.
La serie nasce dal mio interesse ad affrontare il tema dell’identità culturale mettendolo in contrasto con le narrazioni museali che cercano di riassumere le identità di interi popoli attraverso le collezioni di oggetti. Questo tipo di approccio aveva un senso durante il periodo coloniale ma in questa epoca complessa, postmoderna, multiculturale e multietnica, le identità culturali assomigliano a dei processi che non possono essere riassunti semplicemente attraverso una serie di “cose”. In certe stanze dei musei antropologici, vedere come i reperti sono trattati, selezionati e accostati l’uno all’altro nelle teche, mi fa pensare che una certa idea coloniale di identità culturale sia oggi ancora molto presente. Sono stanze che danno al visitatore l’immagine di una diversità assoluta, di una distanza geografica e storica da chi si sente di essere il centro del mondo. In quel modo di organizzare un museo, sento che l’identità è messa sotto osservazione da un occhio che considera “altro” tutto ciò che appare diverso e lo giudica a volte curioso, a volte minaccioso. Nel dipinto qualsiasi ordine viene tolto, qualsiasi criterio di selezione e di collezione è saltato e questo esprime per me il senso di un’identità culturale viva, ibrida e meticcia che non può essere ingabbiata nelle stanze di un museo o in una mentalità chiusa”.
Aryan Ozmaei