Il progetto costruirà durante il 2023 una performance che vuole investigare il rapporto tra coreografia e video attraverso una commistione visionaria tra corpi danzanti, film, musica elettronica e luce.
La Danza Macabra è una tradizione tardo-medievale che combina arte visiva, architettura, poesia e altri linguaggi. È una delle tematiche iconografiche più sviluppate nella storia dell’arte occidentale estremamente legata anche alla diffusione della Peste Nera, epidemia che alla fine del Medioevo mieté milioni di vittime per tutta l’Europa, ma che fece emergere un pensiero più complesso sulla realtà, che vide l’uomo tentare di indagare più a fondo il suo rapporto con il mondo terreno.
La danza propria dei morti, deriva dal concetto più generale che ogni movimento sopramondano e dell’aldilà sia danza: danzano le stelle, gli dei, gli spiriti, la natura.
Danse Macabre è un invito austero a danzare verso l’ignoto, legando e affermando relazioni con il mondo attuale. Il progetto cerca di rivelare una nuova forma di danza macabra, cosciente della sua virtualità premoderna, sviluppando una danza che riveli se stessa liberandosi dallo stress epidemico. Questo progetto immagina una performance per un gruppo di 4 danzatori, uno spazio in costante rapporto tra presente e passato, coinvolgendo in un dialogo energetico l’essere umano cui si avvicina, cercando una trasformazione simbolica dell’esperienza della danza.
I danzatori coinvolti avranno un background legato al movimento estremamente differente, dalle pratiche della danza contemporanea alla street dance, ognuno con una personale storia di movimento, portando la musicalità, la materialità e l’espressione del corpo al centro della costruzione coreografica.
Partendo dal progetto precedente dal titolo Alcune Coreografie, – un dialogo scenico tra una danzatrice con un prezioso e ponderoso lavoro di raccolta video, montaggio e successiva rielaborazione di una serie di tipologie di danze, Danse Macabre mira a stimolare, attraverso una partitura visiva, sia la memoria fisica degli interpreti che le libere associazioni dello spettatore.
Attraverso l’inclusione di un film come terzo elemento della costruzione scenica che, registrando alcune parti della coreografia da diverse angolazioni e proiettate in sincronia con i ballerini dal vivo, ricercherà un’esperienza di spostamento percettivo dello spettatore.
La realtà danza con la non-realtà, il tempo reale esiste contemporaneamente al tempo illusionistico.
Le figure si specchiano, si raddoppiano, incorporando la loro stessa immagine, divenendo non solo performers, ma incarnazioni del movimento in scena. Una reversibilità percettiva tra corpo fenomenico e corpo visivo, tra sentire e vedere, uno specchio che estende il rapporto riflessivo che il corpo ha con se stesso.
Questi video definiranno lo spazio scenico con l’obiettivo di mostrare la vitalità dell’immagine in un momento storico in cui la sovrappopolazione della stessa sembra quasi decretarne la fine. La danza tenta di liberarsi dalla “violenza della rappresentazione” oscillando tra poli differenti per accostamenti, rendendo visibile l’invisibile in una tensione ipercosciente, facendo scattare una riflessione fra la vita e la morte, dove solo l’arte del contrappunto può produrre una melodia.
Vedere genera un altro modo di sentire, dove l’immagine video pone di fronte una promessa illusoria, creando una dissonanza cognitiva in chi guarda.
La danza da sempre conosce la morte, offre un esperienza che si dona ad essere vista, ma non ad essere posseduta.
“Doris Humprey (1895-1958), tra le più importanti pioniere della coreografia e della teoria della modern dance americana, pensa la danza come un arco tra due morti, la morte della stasi, cioè il raggiungimento compiuto della forma, l’equilibrio, l’immobilità come fine del movimento, simbolicamente rappresentato dalla perfezione apollinea, e la morte dinamica, cioè il desiderio dell’oltre, come disgregazione dionisiaca della forma, estasi e pericolo di dissoluzione. Tra questi due esterni si dilata la danza, il suo movimento che nasce e muore senza rapprendersi mai nell’oggetto, come un pensiero che non rappresenta qualcosa, né offre la mimesi, ma produce idee che sono movimento pensante e forme di visione del mondo che non si lasciano cristallizzare”.
Caterina Di Rienzo, Per una filosofia della danza: danza, corpo, chair 2019
La partitura coreografica sarà generata attraverso diversi materiali video, ricreando forme mimetiche quasi spettrali, dove visione e suono vogliono provare a modellare un nuovo tipo di esperienza, toccando i tasti dell’invisibile, dando corpo a ciò che non esiste.
In termini di illuminazione, utilizzando la tecnica del flicker (una luce che brilla in modo instabile), lo spazio-tempo della danza a volte tenderà ad unirsi a quello delle sequenze di un film d’animazione, percependo il corpo in movimento alternato alle luci e attivando il ruolo dello spettatore nella costruzione della coreografia.
Il suono, la coreografia e gli aspetti visivi dell’opera, vogliono creare una forte esperienza sinestetica, un atto che forgia nuove connessioni tra il presente e il possibile futuro.