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K.I.T.S.C.H.

of Camilla Giani

Karaoke is the Supreme Challenge

Sono molto attratta dalla dinamica del Karaoke, nella quale performers e spettatori collaborano, creando una collettività che partecipa ad una funzione archetipica e rituale della performance.

Karaoke – dal giapponese orchestra vuota – è un atto liberatorio che per imitazione permette di lasciarsi attraversare, come un contenitore vuoto, dal flusso performativo associato ad un idolo. Attraverso la visione del Karaoke come rito, lo show inteso come atto tribale di trascinamento e liberazione viene snaturato, facendo emergere ciò che sta sotto attraverso un lavoro di destrutturazione dello stesso, per arrivare ad una sua astrazione, così da poterlo snaturare facendo emergere ciò che sta sotto. Siamo partiti dall’analisi dello show, per arrivare alla definizione di un archetipo, attraverso la creazione di un video-archivio di riferimento da poter utilizzare come partitura fisica. Utilizzando la dinamica vera e propria del Karaoke, applicata al corpo del danzatore, abbiamo cercato di ridurlo a diventare contenitore vuoto che si trasformi ogni volta, che si mimetizzi assorbendo l’archetipo dell’idolo (inteso etimologicamente) per portarlo ad esprimere parti ignote che possano venire alla luce attraverso la mimesi. Il lavoro prevede la ricerca di un contrasto accentuato tra la timidezza, intesa come tenera protezione del sé da un esterno invadente, e l’aggressività intesa come movimento verso l’esterno.
Parallelamente il Karaoke è stato indagato sotto forma di rituale, andando ad approfondire quella che può essere individuata come la struttura di un rito.

IL RITO:

Vi sono tre elementi che costituiscono la norma di qualsiasi azione rituale: il corpo, il simbolo e la ripetizione. Il primo elemento, il corpo, è la nostra fisicità nello spazio intesa come insieme di posizioni, gesto e suoni, voce inclusa. Questa fisicità, accompagnata da un senso che va oltre alla sua concretezza, introduce l’elemento del simbolo (interiore ed esteriore) che ci consente, attraverso alla sua ripetizione, di ricollegarci a spazi e tempi di dimensioni altre rispetto all’ordinario.
Ognuno dei tre elemento è indispensabile all’altro, così ad esempio, ripetizione e simbolo, a nulla valgono senza l’azione: «Non è a partire da un aldilà che la divinità opera nel foro interiore dell’uomo, o nella sua anima, misteriosamente unita ad essa. Essa è tutt’uno col mondo. Essa si para dinanzi all’uomo a partire dalle cose del mondo, quando egli è in cammino e partecipa al fermento vitale del mondo. L’uomo fa l’esperienza del divino non attraverso un ripiegamento su di sé, bensì attraverso un movimento verso l’esterno» il Rito diviene vero e proprio linguaggio con una grammatica e una sintassi. Attraverso questa grammatica, l’azione rituale marca una differenza nel normale fluire del tempo e dischiude nella quotidianità la possibilità di un cambiamento; è un’azione che tende a trascendere le circostanze e le contingenze trasfigurando l’esperienza ordinaria per renderla partecipe di una narrazione preesistente, sovra ordinata, più antica e profonda. Serve dunque perseveranza, fatica e una certa dose di coraggio nell’affrontare la selva di variabili che compongono un rito.

  1. Preparazione
    2. Purificazione Creazione dello spazio sacro
    3. Invocazioni alle divinità
    4. Lavoro magico
    5. Chiusura del rituale

 

Coreografia: Camilla Giani

Performer: Chiara Casiraghi

Luci: Gabriele Termine