Negli ultimi anni, e in particolare durante il lockdown dovuto alla pandemia di Covid-19 della primavera 2020, abbiamo sviluppato l’esigenza di definire in modo più preciso l’estetica teatrale che ha caratterizzato i primi quindici anni di attività della compagnia. La necessità di questa definizione non nasce dalla volontà di concettualizzare il nostro operato, né ha lo scopo di descrivere la compagnia in una prospettiva storica. Al contrario, è una definizione che vuole emergere dallo sviluppo di una prassi di lavoro da costruire in sala, con i corpi, lo spazio, il movimento, l’immaginazione e – certamente – anche la relativa e conseguente riflessione; anziché essere proiettata sul passato, essa si slancia in avanti per caratterizzare la declinazione dei nostri futuri processi artistici.
Il primo passo da compiere ci è sembrato quello di tornare alle varie fonti e alle esperienze che hanno influenzato il nostro cammino per compiere un lavoro di sintesi e mettere a punto un training, ovvero una serie di esercizi, giochi, provocazioni che mettano l’attore nella condizione di accedere al lavoro di prova e di spettacolo in una determinata temperie estetica.
L’immagine che ci guida nell’elaborazione del training è quella che abbiamo chiamato “teatro neo-drammatico”. È anche questa una definizione che si va costruendo: nasce dal desiderio esplorare gli aspetti più performativi dell’atto teatrale senza rinunciare a un’impostazione “drammaturgica” in senso lato, per cui l’atto al presente del performer non dovrebbe prescindere da un’impostazione di senso stabilita a priori. In altre parole, se il teatro drammatico fosse una strada e il teatro performativo fosse acqua, il “teatro neo-drammatico” sarebbe un fiume.