“Studioli dell’esilio: ricostruire la memoria”
“The seasons and the years came and went… and always… one was, as the crow flies, about 2000 km away -‐ but from where? -‐ and day by day, hour by hour, with every beat of the pulse, one lost more and more of one’s qualities, became less comprehensible to oneself, increasingly abstract.” (W.G. Sebald, “The Emigrants”)
I luoghi hanno una doppia esistenza. La prima è fisica, e si svolge in maniera fissa attorno alla vita di chi ci abita, di chi ci vive; la seconda è mentale, e si sviluppa nella memoria degli esseri che portano questi luoghi dentro di loro, ovunque vanno. Queste due esistenze divergono, spesso in maniera lenta, invisibile, o a volte in maniera piu brutale, quando i luoghi spariscono fisicamente. Mi interessa lavorare sulle reminiscenze, e le memorie profondi che gli individui trasportono, quando devono spostarsi e reinventare la loro vita dall’altro lato della pianeta, per desiderio o per necessità. Cosa ritengono, cosa dimenticano. Mi affascina l’idea -‐ magari illusoria -‐ di ricostruire la memoria, di disegnare le immagini invisibili nascoste dentro la psiche, che sia la mia o quella degli altri.
Essendo nato a Parigi nel 1976, da genitori emigrati in parte dall’Europa (Svizzera, Scandinavia, Inghilterra) e in parte dall’ex-‐Indocina (Vietnam, Cambodia… e Corsica), sono cresciuto da un lato con i racconti di una memoria piuttosto neutrale e stabile, e dall’altra, con i ricordi spezzati e caotici di una diaspora dispersa dalle guerre che avevano schiacciato il loro paese da oltre trent’anni. Ho imparato che le memorie dei posti perduti, anche quando sono rimosse, sono a volte piu potenti dalle memorie dei posti dove si vive nel presente.
L’artista propone di sviluppare nelle Murate un progetto dedicato alla memoria collettiva degli cittadini di Firenze che sono arrivati nella città tramite migrazioni, esilio, traslocamenti volontari o no: seguendo un protocollo artistico di “disegno mentale”, si tratterebbe di organizzare incontri con questi cittadini, e durante sedute di circa un’ora ciascuna, di chiedergli di raccontarmi -‐ nel modo piu preciso e intenso possibile -‐ il ricordo di un luogo che hanno perduto -‐ per permettermi in tal modo di materializzare dal vivo le loro memorie, le loro visioni mentali, tramite disegni a grande scala che farei sulle pareti di stanze effimere, scenografie di legno o di carta inserite dentro l’archituttura delle Murate; le pareti interni di queste stanze, ricoperte poco a poco dai disegni materializzando questa memoria collettiva, diventando analoghe alle pareti degli studioli rinascimentali, ornate da intarsi o affreschi, rappresentazioni di un mondo invisibile, estensioni dello spazio mentale… una “memoria arteficiosa” materica e organica, realizzata solo con la parola, il ricordo e la mano -‐ in contrappunto all’onnipresenza delle immagini digitali proliferanti e di quell’altra “intelligenza arteficiale”, quella disincarnata, automatica e vorace.